Sono sempre di più i robot “umanoidi”, così simili a noi ma ancora così lontani dall’esserlo totalmente. Quanto è sottile il confine tra realtà e utopia? In che modo gli esseri umani si distinguono ancora dai robot? Andiamo a parlare di ciò che sappiamo sui robot umanoidi.

Rappresentazioni, conoscenze e categorie

Non è la prima volta che parliamo di robot umanoidi su questo sito, ma gli studi su di essi sono in costante sviluppo e bisogna aggiornare le nostre conoscenze.
Sappiamo già che i robot di cui stiamo parlando sono macchine che ricordano, come struttura e funzionamento, gli umani. La loro storia non è così recente come pensiamo, ma solo negli ultimi tempi stanno davvero cominciando ad essere simili a noi anche nelle funzioni cognitive.

Per comprendere cosa ancora li distingue da noi, dobbiamo introdurre il concetto di “rappresentazione”, cioè la base su cui si fonda la conoscenza intesa come insieme di fatti appresi e coerenti.
Le rappresentazioni costituiscono il codice con cui vengono immagazzinate le informazioni nel nostro cervello e possono essere di quattro tipi:

  1. Immagini mentali
  2. Rappresentazioni percettivo-sensoriali
  3. Simboli amodali. Rappresentazioni non legate all’immagine corporeo-sensoriale che abbiamo di esse. Riguardano la semantica; ad esempio, quando pensiamo a “macchina” pensiamo automaticamente ai componenti di essa, che a loro volta sono legati ad altri concetti.
  4. Schemi statistici. Informazioni presentate come fossero vettori di simboli binari.

Man mano che l’essere umano acquisisce rappresentazioni, le divide in categorie, in base alla sua esperienza. Ad esempio, un libro è tale in quanto corrisponde alla nostra idea di “libro”, e per farlo deve necessariamente avere delle determinate caratteristiche.

Le conoscenze possono essere contestuali, organizzate in schemi detti “script”  (copione). Per esempio, sappiamo tutti come comportarci quando entriamo in un bar. Leggendo frasi come “buongiorno, vorrei un caffè” e “Vuole un cornetto insieme al cappuccino?” riusciamo subito a ricollegare il loro contesto, senza bisogno di altre informazioni.

Le categorie sono invece organizzate in tassonomie, classificazioni. Un esempio sono i sotto-domini del regno animale, come essere vivente-quadrupede-gatto-Maine Coon.

 

 

Come pensano i robot?

Colleghiamo il concetto di intelligenza artificiale (IA) a quello che abbiamo appreso riguardo il nostro cervello. Con l’IA, i robot umanoidi riescono a simulare un comportamento umano.
Per funzionare, queste IA usano la logica proposizionale, come ad esempio quella dei sillogismi aristotelici (se A è vero e B è vero, allora C è vero). A questi ragionamenti possiamo aggiungere dei simboli; secondo il Physical Symbol System Hypotesis di Allen Newel e Herbert A. Simon, un sistema fisico che include dei simboli ha mezzi necessari per essere intelligente.

Perciò, i robot umanoidi pensano come noi, con simboli e reti semantiche. I primi rappresentano l’oggetto, le seconde indicano la relazione tra gli oggetti.
Otteniamo dunque un robot capace di contestualizzare e dare risposte precise. Se gli viene chiesto “Cos’è un gatto?”, lui riuscirà a dire che è un animale a quattro zampe con il pelo.

Seguendo procedimenti di concettualizzazione simili, come ad esempio quello dei “frame” (informazioni sull’oggetto in questione che possono essere inserite per descriverlo), l’IA sarà pian piano in grado di fare descrizioni sempre più complesse e complete.
Ciò che la differenzia dai nostri ragionamenti, però, è che i nostri frame sono dinamici. Come la conversazione che abbiamo visto prima nel bar, sappiamo descrivere la sequenza di interazioni all’interno di una conversazione. Il robot, invece, con i suoi scripts, potrà solo rispondere a domande situazionali. “Perché il cameriere ha preso un cornetto?”, “Perché quell’uomo ha dato dei soldi al cassiere?”.

 

Differenza tra umani e robot

La grande differenza è che le risposte del robot, anche se corrette, saranno fondate solo sulle informazioni del contesto, mentre le nostre sono fondate sull’esperienza e i sentimenti. Se qualcuno chiedesse al robot “perché quell’uomo ha lasciato dei soldi in più al cameriere?” esso non saprebbe rispondere, perché non ha il concetto di “mancia”, a meno che non venga esplicitato e spiegato nella scena.

Nelle nostre menti abbiamo infiniti schemi, script e reti semantiche che servono non solo a rispondere a domande specifiche, ma a renderci “intelligenti” e consapevoli di noi stessi. Anche se le IA hanno schemi, script e reti semantiche come noi, sono ancora troppo poche e poco interconnesse, perciò non sono né consci né spontanei.

Per questo motivo sentiamo parlare di “sistemi esperti”; ogni robot ha conoscenze generali limitate, mentre è un esperto nel suo specifico settore (micromondo).  Ci sono robot specializzati nel poker che battono campioni umani, robot specializzati nelle interazioni sociali e robot in grado di compiere acrobazie e salti mortali. Ognuno di questi, però, sa fare ben poco all’infuori di ciò per cui è stato creato, mentre nel suo micromondo è imbattibile.

Perché i robot hanno forma umanoide?

Tra i robot umanoidi attuali troviamo iCub, il più famoso tra quelli italiani. Appena nato, si chiamava Babybot; l’idea è quella di realizzare un bambino su cui poter ricostruire, tramite apprendimento, l’intera struttura cognitiva umana. Il fine ultimo è quello di usare la robotica per comprendere meglio il modo in cui funziona l’essere umano; per questo motivo i robot devono avere sembianze umanoidi. Nel momento in cui si riesce ad insegnare qualcosa ai robot umanoidi, si possono comprendere i suoi progressi tramite ingegneria inversa, e scoprire nuove utilissime informazioni sul nostro cervello.

Ancora una volta, perciò, torniamo a rassicurarvi: non è prevista alcuna rivolta delle IA contro l’umanità. Il fatto che abbiano forma umana aiuta gli studiosi a comprendere meglio come funziona il nostro corpo e cosa possiamo fare affinché funzioni ancora meglio; stessa cosa vale per il nostro cervello.

 

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