I am Mother è un film fantascientifico thriller del 2019 distribuito da Netflix e diretto da Grant Sputore.


 

Trama

Ci troviamo in un enorme bunker, dopo un evento catastrofico che ha portato all’estinzione dell’umanità. Questo spazio è disegnato per contenere migliaia di esseri umani che, inizialmente, sono tutti ancora embrioni. Il bunker è gestito da Madre, un robot intelligente, che ha il compito di ripopolare la Terra facendo nascere gli embrioni.
Madre fa quindi nascere il primo bambino umano dopo la catastrofe: si tratta di una femmina, che verrà chiamata semplicemente Figlia. Questa bambina viene addestrata da Madre, che le fa svolgere periodicamente degli esami che spaziano dalla cultura generale all’etica.

Un giorno, Figlia trova un topolino nel bunker e lo fa vedere a Madre; quest’ultima, preoccupata per le malattie che potrebbe portare perché proveniente dal mondo esterno, lo incenerisce.
L’interesse di Figlia per il mondo esterno, però, continua a crescere; un giorno si reca quindi al portellone del bunker, dove sente le grida di una donna ferita da un proiettile provenire da fuori. Decide quindi di farla entrare nell’anticamera, perché possa indossare una tuta protettiva, per poi nasconderla da Madre. Quest’ultima, arrivata al portellone, si limita a sgridare Figlia e a dirle di prepararsi per il suo esame, durante il quale la ragazza sarebbe rimasta da sola. In quel lasso di tempo, infatti, Figlia esce dalla stanza e va a cercare la donna che aveva nascosto. Questa le dice che è stato proprio un robot a spararle e, quando scopre la presenza di Madre, s’impaurisce e la attacca. La donna resta però ferita durante lo scontro e, in seguito alla richiesta di Figlia, Madre si propone di curarla e di aiutare anche gli altri eventuali esseri umani fuori dal bunker.
Quando la donna si rifiuta di essere curata dal robot, Figlia prende in mano la situazione e la segue durante la cura e la degenza; nel frattempo finiscono per legare e Figlia viene a conoscenza di un rifugio nelle miniere, nel quale sono presenti altri umani, che vengono braccati proprio dai robot come Madre. La donna le propone quindi di scappare e di andare a vivere con lei e gli altri umani.

Figlia comincia quindi ad avere dei dubbi su Madre; quest’ultima, però, le rivela che il proiettile che la donna aveva conficcato nella pelle era quello della pistola di un altro essere umano. Nonostante ciò, Figlia mantiene il segreto riguardo la presenza di altri umani, dopodiché svolge il test psicologico consegnatole da Madre. Visti i risultati estremamente positivi dell’esame, il robot la ricompensa facendole scegliere un embrione che sarebbe diventato suo fratello.
Dopo aver incubato l’embrione, Figlia confronta la donna riguardo i proiettili, e questa le risponde di controllarli lei stessa. Così facendo, Figlia scopre non solo l’inganno di Madre, ma anche di non essere la prima nata nel bunker; c’era stata un’altra bambina prima di lei ma, dal momento che non rispettava gli standard di Madre, era stata incenerita.

Figlia decide quindi di scappare con la donna, ma scopre che anche lei le aveva mentito; non vive più nella miniera, dove i pochi esseri umani rimasti erano impazziti, ma da sola sulla spiaggia. Si pente di essere scappata dal bunker e torna indietro per recuperare il fratello; Madre le permette di prenderlo in braccio e, finalmente, le rivela la verità: lei non è un singolo robot, bensì una IA, una coscienza che controlla tutti i robot. È lei ad aver portato l’umanità all’estinzione, poiché convinta che gli umani si sarebbero distrutti tra loro; ha deciso quindi di annientare l’umanità e ricrearla, allenando i nuovi umani ad essere virtuosi, e Figlia è stata la prima ad avere i requisiti ricercati da Madre. La ragazza riesce quindi a convincere Madre che avrebbe saputo guidare la nuova umanità, dopodiché le spara.
Nel frattempo, un altro robot con la coscienza di Madre rintraccia la donna ed insinua che la sua sopravvivenza fosse servita unicamente agli scopi di Madre e, in seguito, la uccide.
Il film si conclude con Figlia che si prende cura del fratello ed entra in una stanza piena di embrioni.

 

Attori e personaggi principali

Uno dei punti forti di questo film è proprio la carenza di attori; vedere sempre le stesse facce nel corso della pellicola, infatti, riesce a dare pienamente l’idea della fine del mondo a causa di una catastrofe.

Troviamo Clara Rugaard nel ruolo di Figlia, il primo (o almeno, inizialmente, lo spettatore è portato a pensare che lo sia) embrione fatto nascere da Madre. Forse a causa dell’ambientazione o della somiglianza fisica, l’attrice danese mi ha ricordato una giovanissima Natalie Portman, perciò la mia opinione non può essere che positiva. Rugaard, prima di I am Mother, aveva ricoperto esclusivamente ruoli minori, recitando in serie televisive come The Lodge e Still Star-Crossed e in film come Good Favour e Teen Spirit. Si tratta quindi della nascita di una giovane e promettente attrice, poiché le quasi due ore di pellicola non sono risultate assolutamente noiose anche grazie alla sua interpretazione.

 

I_am_Mother_staff

 

L’unico altro essere umano presente nella pellicola, ad esclusione del neonato “interpretato” da Hazel Sandery, è una donna di cui non viene mai detto il nome, interpretata da Hilary Swank. Probabilmente ricorderete l’attrice e produttrice statunitense per i suoi ruoli in Boys Don’t Cry e Million Dollar Baby, per i quali ha vinto due Oscar alla migliore attrice, rispettivamente nel 2000 e nel 2005.
In I am Mother, Sandery interpreta un personaggio che risulta sgradevole, inizialmente per l’estrema diffidenza che dimostra nei confronti di chi l’ha accolta e curata e, in seguito, per aver ingannato Figlia, convincendola a scappare dal bunker raccontandole di altri esseri umani che, in realtà, sono già morti. L’interpretazione di Sandery, però, è tutt’altro che sgradevole; nevrastenica al punto giusto, riesce a conferire al suo personaggio l’accenno di follia che ci si aspetta dall’ultimo essere umano rimasto sulla Terra, senza però far pensare allo spettatore che possa effettivamente impazzire da un momento all’altro. Il film, perciò, resta godibile per la trama e per i suoi colpi di scena, piuttosto che per la teatralità di questo misterioso personaggio.

Per quanto riguarda Madre, la sua interpretazione è difficile da attribuire ad una sola persona, in quanto Rose Byrne le ha dato una voce, ma la performance è di Luke Hawker. Quest’ultimo fa parte della Weta Workshop, azienda specializzata in effetti speciali che ha costruito Madre; oltre ad aver animato il robot, perciò, faceva anche parte del team che l’ha assemblata.

Infine, nonostante sia superflua, ecco la consueta lista degli attori presenti nella pellicola ed i ruoli da loro interpretati.

Hilary Swank: Donna

Rose Byrne: Madre (voce)

Luke Hawker: Madre (performance)

Clara Rugaard: Figlia

Hazel Sandery: neonato

 

 

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Gli argomenti

I am Mother è, all’apparenza, l’ennesimo film basato sulle catastrofi naturali, sulla fine del mondo, sull’unico essere umano rimasto in vita e tutto il resto dei cliché riguardanti il genere. In effetti, l’atmosfera è proprio quella che ci si aspetta; permeata di ansia e falso senso di sicurezza, l’area in cui si svolge la maggior parte del film, ovvero il bunker, è tutto ciò che conosciamo, proprio come se facessimo parte della storia.
Tuttavia, I am Mother ha una trama “nascosta” che è molto più di un insieme di sensazioni di angoscia; parla infatti anche di etica, e ci spinge a riflettere riguardo il modo in cui amiamo.
Il personaggio di Madre è infatti ambiguo, in quanto la sua apparenza fredda e, logicamente, robotica ci spinge a pensare che sia incapace di amare e di provvedere alla sopravvivenza di un bambino; durante la pellicola, invece, si dimostra un’ottima madre, tanto che lo spettatore prova un forte dispiacere con il plot twist finale.
Anche in quel caso, però, si potrebbe fare una riflessione: una madre degna di questo nome vuole sempre il meglio per i suoi figli; e se, nella mentalità di Madre, cancellare l’umanità e ricominciare daccapo rappresentasse questo “meglio”?
Guardando il film dalla prospettiva di Figlia, invece, ci si potrebbe chiedere: avrebbe premuto il grilletto, se sua madre fosse stata umana come lei? O le sarebbe mancato il coraggio?
Come in altri film recensiti su questo sito, torna dunque il famoso quesito: cosa ci rende “umani”?
Tuttavia, I am Mother non è necessariamente un film che deve far riflettere lo spettatore; anzi, uno degli aspetti negativi di questa pellicola è che, per alcune persone, potrebbe essere fin troppo prevedibile. La location è minimale, così come la trama e il cast; lo spettatore si aspetta che ci sia un colpo di scena e, considerando i pochi elementi presenti nel film, è facilmente intuibile quale possa essere.

 

Approfondimento: emozioni e robot

Ammettiamolo: per quanto possiamo amare la tecnologia, risulta difficile che un robot possa farci provare le stesse emozioni di un essere umano. Nel film vediamo come Madre si prenda cura di una bambina proprio come, appunto, una madre; comprensibilmente, però, guardando queste scene c’è qualcosa che non ci torna.
Una delle maggiori sfide nel campo della robotica è proprio quella di creare dei robot sempre più simili agli esseri umani; per farlo, c’è bisogno che i robot comincino a provare emozioni. Per quanto riguarda gli esseri umani, dobbiamo ammettere che proviamo già un certo tipo di sentimenti nei confronti della nostra tecnologia; sia quando urliamo al nostro computer di andare più veloce, sia quando ci lasciamo intenerire da un piccolo cane robotico, stiamo inconsciamente trattando in maniera umana la tecnologia.
Uno studio condotto da Plos One, una rivista scientifica, ha evidenziato che agli umani basta molto poco per simpatizzare con un robot. Durante un esperimento nel quale i partecipanti dovevano semplicemente interagire con un robot, quest’ultimo chiedeva loro cose semplici come il loro colore preferito, e i partecipanti intrattenevano quindi una breve conversazione con il robot. Alla fine dell’esperimento, si richiedeva di spegnere il robot, ma la maggior parte dei soggetti esitava o si rifiutava, poiché il robot era stato programmato per pregare gli umani di non spegnerlo, con frasi come “No! Per favore, non spegnermi!”.
Il LARS, ovvero il Laboratory for Autonomous Systems Research, usa i risultati di esperimenti come questo per comprendere il modo in cui ci relazioniamo con i robot, per costruirne altri che possano lavorare sempre meglio insieme agli umani.
Uno dei robot in questione è Octavia, un robot umanoide che si muove e che può intrattenere conversazioni simili a quelle tra un essere umano e l’altro. Si tratta di un robot pompiere che comprende i gesti, le parole e anche i sentimenti dei suoi colleghi umani; può inoltre esprimere confusione e altre emozioni attraverso le espressioni facciali. È composta da due telecamere nascoste nei suoi occhi, quattro microfoni e un programma di riconoscimento vocale chiamato Sphinx. Può analizzare i volti delle persone e le loro espressioni, identificare oggetti semplicemente toccandoli ed è programmata in modo da provare quella che, in termini umani, somiglia molto all’empatia.
Dal momento che si tratta di un robot pompiere, Octavia può anche sopportare temperature molto elevate e non viene danneggiata dal fumo provocato dagli incendi, di modo da poter intervenire anche dove i suoi colleghi umani non possono.

L’obiettivo primario della robotica è quindi quello di creare robot che possano interagire con gli esseri umani in maniera sempre più empatica, per motivazioni diverse tra loro; ci sono i robot che aiutano i bambini autistici a confidarsi, quelli che giudicano imparzialmente il lavoro dei dipendenti, quelli che esplorano aree pericolose per l’essere umano e quelli che lavorano al nostro fianco. Siamo sicuramente ancora molto lontani dalla singolarità tecnologica e dall’avere un migliore amico robotico ma, quando (e se) il momento arriverà, ci troverà preparati.

 

Considerazioni sul film

Ammetto di essere di parte: quando un film viene distribuito da Netflix è, per me, quasi la garanzia di un mio responso positivo. È un’opinione controversa, dal momento che, spesso, i film prodotti da Netflix sono perlopiù commedie adolescenziali; tuttavia, in questo caso, sono sicura di non essere l’unica ad aver giudicato positivamente questa pellicola.
I am Mother non è un capolavoro, ma non è neanche un film da scartare a prescindere; la storia è semplice e lineare, la cui unica pecca è proprio il finale, nel quale vengono spiegate tante – forse troppe – cose. I personaggi sono pochi e hanno una loro complessità psicologica, compresa Madre che, nonostante sia un robot, ha fin troppi tratti che la rendono “umana”. È uno di quei film da vedere con gli amici, i parenti o il partner, poiché nei tempi morti avrete tutto il tempo di creare teorie su chi sia il “buono” e chi il “cattivo”, senza timore di perdervi scene particolarmente rilevanti e senza l’angoscia di jumpscare che, in film di questo genere, sono spesso presenti.
Lo consiglio? Sì. I pochi attori presenti sono molto capaci, l’atmosfera è angosciante quanto basta, Madre è un personaggio abbastanza complesso e la trama è originale ma non troppo, così come i colpi di scena. La tecnologia è tanto presente quanto poco spiegata, il che è un peccato, poiché Madre sarebbe un robot molto interessante da ricostruire nella realtà… anche se, ripensandoci, probabilmente è meglio lasciare che l’umanità faccia il suo corso.

 

 

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