In questi ultimi mesi stiamo affrontando un nemico comune di cui abbiamo tutti sentito parlare; il nuovo coronavirus, chiamato Covid-19. Gli studi su come combatterlo e sconfiggerlo sono ancora in corso, così come quelli per scoprire in maniera precisa la sua origine e tutto ciò che comporta. L’intelligenza artificiale potrebbe aiutarci in situazioni simili? In che modo?


 

È stata una IA a prevedere per la prima volta questo nuovo coronavirus o, almeno, questo è ciò che si vocifera nelle comunità tecnologiche. Durante il mese di dicembre, una compagnia dedicata all’intelligenza artificiale che utilizza la tecnica del machine learning per monitorare le epidemie di malattie infettive chiamata BlueDot ha avvisato i clienti (tra i quali sono compresi svariati governi, ospedali e aziende) di un insolito picco di casi di polmonite a Wuhan, in Cina.
Questo è accaduto nove giorni prima che l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnalasse ufficialmente la presenza di quello che oggi conosciamo tutti come Covid-19.
BlueDot non è stata l’unica IA a fare qualcosa del genere. Anche un servizio automatizzato dell’ospedale pediatrico di Boston, chiamato HealthMap, ha colto questi primi segnali. Così come un modello di IA gestito da Metabiota, con sede a San Francisco, ha individuato un focolaio dall’altra parte del mondo prima che venisse pubblicamente dichiarato; questi avvertimenti delle IA sono avvenuti molto prima dell’inizio della pandemia, e avvertimenti così precoci possono salvare migliaia di vite umane.

Quanto ha effettivamente aiutato, però, l’avvertimento delle intelligenze artificiali? La risposta a questa domanda dipende da svariati fattori. Innanzitutto, compagnie come BlueDot vendono informazioni esclusivamente a ristretti gruppi di persone; sono questi gruppi che decidono cosa farne.
Come forse già saprete, il nuovo coronavirus è stato inizialmente preso poco sul serio per evitare panico e conseguenze disastrose, errore che stiamo pagando globalmente. Non è importante quindi capire se sia stata una IA ad avvertirci per primi; non potendo agire di loro spontanea volontà, il compito di diffondere il messaggio spetta sempre a noi esseri umani.
L’avvertimento delle intelligenze artificiali sarebbe risultato utilissimo, se le persone coinvolte avessero preso provvedimenti nello stesso attimo in cui i programmi hanno cominciato ad individuare i picchi di polmonite.

Al momento, ci sono svariati progetti che esplorano l’IA come possibile strumento diagnostico e come aiuto nella ricerca di vaccini; ci vorranno, però, ancora svariati mesi prima di poter consegnare queste innovazioni alle strutture sanitarie che ne hanno bisogno.

Dobbiamo ricordarci, però, che le aspettative spesso superano la realtà. Giornali e blog hanno parlato dell’intelligenza artificiale come una nuova e potente arma contro le malattie, creando aspettative molto alte e rischiando quindi di essere controproducenti.
Ad esempio, troppa fiducia nelle capacità e nel potenziale dell’IA potrebbe portare a decisioni poco informate da parte di individui che possono permettersi di spendere molto denaro; questi potrebbero utilizzare le loro risorse (private o addirittura pubbliche) per sostenere progetti di intelligenza artificiale pensando che sia la scelta migliore, a spese di altri programmi e iniziative che, in questo momento di crisi, necessitano di molti più fondi.
Investire nell’intelligenza artificiale è giusto, ma in questo momento la corsa alle innovazioni tecnologiche non è la priorità.

La realtà, perciò, è che l’intelligenza artificiale non può salvarci dalla pandemia in corso; se utilizzata e sviluppata in maniera coscienziosa, però, potrebbe prevedere la prossima, permettendoci di correre ai ripari prima di ritrovarci in una situazione tragica come quella che stiamo vivendo negli ultimi mesi.
Possiamo individuare tre aree principali nelle quali le intelligenze artificiali possono aiutarci; si tratta della previsione, della diagnosi e del trattamento.

Previsione. Aziende come BlueDot e Metabiota utilizzano una serie di algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale (NLP) per monitorare i notiziari e i resoconti ufficiali degli ospedali in tutto il mondo e in qualsiasi lingua, segnalando la menzione di malattie ad alta priorità, come ad esempio i coronavirus. Le previsioni possono includere qualsiasi altra area d’interesse, come i viaggi aerei, per valutare il rischio del transito del virus tramite passeggeri.
I risultati sono sufficientemente precisi. L’ultimo resoconto di Metabiota del 25 febbraio prevedeva che il 3 marzo ci sarebbero stati 127.000 casi in tutto il mondo; in realtà i casi sono stati circa 100.000 ma, ad ogni modo, il numero corretto è decisamente rilevante e la previsione dell’IA estremamente utile.
Oltre al numero dei casi, l’IA ha elencato i paesi con più probabilità di sviluppare nuovi casi, tra i quali erano presenti la Cina, l’Iran, gli Stati Uniti e l’Italia. Come probabilmente ormai sapremo, questi dati si sono purtroppo rivelati estremamente accurati.
Altri programmi possono tenere sotto controllo i social network. Stratifyd, una società di analisi dei dati, sta sviluppando una IA che analizza post su social come Facebook e Twitter e li confronta con i sintomi di malattie elencate sul National Institutes of Health, l’OMS e il Global Microbial Identifier, piattaforma dedicata all’identificazione di geni per monitorare eventuali epidemie.

Diagnosi. Oltre a prevedere il decorso di una epidemia, le IA potrebbero aiutare ad identificare le persone che sono state infettate. I modelli di apprendimento automatico già ampiamente utilizzati nel settore sanitario possono analizzare l’enorme quantità di dati a loro disposizione e rilevare i primi segni di malattia che i medici umani non riescono a notare, trovando qualcosa in comune tra la maggior parte dei pazienti affetti dal virus che si sta studiando. Per gli esseri umani, questo procedimento risulterebbe impossibile, in quanto la mole di dati da esaminare è immensa; per un’IA, al contrario, è questione di pochi secondi.
Questo renderebbe molto più facile compilare una lista di sintomi inequivocabili che, in caso di una pandemia come quella che stiamo vivendo ora, deve essere comunicata ai cittadini, di modo che possano rendersi conto di essere malati o meno e di evitare quindi che facciano circolare il virus senza saperlo.
Aleksander Selvikvåg, esperto di machine learning e imaging biomedico, ha pubblicato dei documenti che mostrano come dei programmi di apprendimento automatico riescano a diagnosticare il Covid-19 da delle scansioni TC (conosciute come TAC) dei polmoni, dopo avere “ingurgitato” una mole spropositata di dati e immagini di esami medici, per insegnare loro ad individuare i segni rivelatori della malattia.

Trattamento. L’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata anche per sviluppare trattamenti per le malattie. Una tecnica per individuare farmaci che possono essere utili è quella di utilizzare algoritmi di progettazione generativa (generative design), che offrono un gran numero di potenziali risultati accettabili e li analizzano ulteriormente per evidenziare quelli su cui vale la pena soffermarsi. Questo permetterà quindi di concentrare le ricerche solo su alcuni farmaci e sostanze, senza dover prendere in considerazione milioni di strutture biologiche o molecolari che, considerando i tempi degli esseri umani, impiegherebbe un’eternità.
La SRI International sta collaborando allo sviluppo di uno strumento simile, che utilizza il deep learning per generare una lista di potenziali farmaci che verranno poi consegnati agli scienziati per verificarne e valutarne l’efficacia.
L’IA potrebbe essere utilizzata anche per prevedere l’evoluzione del coronavirus, inserendo potenziali vaccini alla miscela dell’algoritmo per vedere se il virus muta o sviluppa una resistenza al farmaco.
Questo consentirebbe ai virologi di essere un passo avanti rispetto al virus, di modo da poter creare più velocemente dei vaccini nel caso si verifichi una delle mutazioni previste dall’IA.

L’ostacolo più grande resta però sempre lo stesso a cui abbiamo accennato prima; le persone al comando, quelle che ricevono per prime questo tipo di informazioni e decidono se e quando parlarne e, in caso, quanto parlarne.
La relazione tra queste persone e l’IA è purtroppo l’unica cosa che rende molto difficile utilizzare queste tecnologie per prevedere, studiare e curare virus come quello del Covid-19; l’intelligenza artificiale non sarà mai in grado di “avvertire” la popolazione, indipendentemente da quanti dati abbia a disposizione.
L’unica maniera di agire per tempo quando si presentano situazioni del genere è cambiare radicalmente il modo in cui il governo utilizza questi strumenti; se, ad esempio, i governi avessero deciso di dare la notizia anche solo una settimana prima, i casi sarebbero stati circa il 70% in meno, mentre con tre settimane di anticipo il virus sarebbe rimasto circoscritto all’area in cui è stato scoperto e sarebbe stato possibile controllarlo immediatamente.
Per sfruttare al meglio l’intelligenza artificiale non occorre solamente avere dati, soldi e vantaggio di tempo; occorre anche e soprattutto coordinamento e buona volontà da parte di moltissimi individui diversi che collaborano insieme per un unico obiettivo sin da subito, senza dover essere obbligati dalla minaccia di una pandemia.

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