di Jessica Andracchio

 

In questi giorni, su internet sta girando quella che, molto probabilmente, è la foto del secolo: si tratta della prima foto di un buco nero. Ma cos’è, precisamente, questa foto? A chi dobbiamo il merito di questa conquista, e quali sono stati i metodi utilizzati per raggiungere questo obiettivo? Andiamo subito a scoprire tutto quello che c’è da sapere sul famoso scatto.

 


Come tutto è iniziato. I ricercatori del MIT (Massachussetts Institute of Technology) nei settori della Computer Science e dell’intelligenza artificiale, insieme al centro astrofisico Harvard-Smithsonian e l’osservatorio del MIT Haystack, hanno sviluppato nel 2016 un algoritmo che avrebbe potuto aiutare gli astronomi a produrre la prima immagine di un buco nero.
L’algoritmo avrebbe messo insieme i dati raccolti da radiotelescopi sparsi intorno al globo, con il progetto Event Horizon Telescope (Telescopio dell’Orizzonte degli Eventi), che ha l’obiettivo di studiare l’ambiente circostante Sagittarius A*, al centro della Via Lattea, dove si trova un buco nero supermassiccio e il buco nero M87, ancora più grande, situato al centro di Virgo A, una galassia ellittica supergigante.
Questo progetto vedeva appunto la necessità di predisporre un sistema di svariati radiotelescopi collegati mediante l’Interferometria a Base Molto Ampia, tecnica che consente di ottenere una risoluzione angolare che possa differenziare l’orizzonte degli eventi dei buchi neri. In parole povere, si raccolgono i segnali emessi da radiosorgenti con dei radiotelescopi sparsi sulla Terra, per emulare un unico telescopio gigante che permette infine di ottenere un’immagine distinguibile ai nostri occhi che segua le nostre leggi della fisica.
Questa tecnica ha permesso quindi di fotografare l’orizzonte degli eventi del buco nero supermassiccio al centro della galassia Virgo A, fotografia che spopola sui social e in televisione dal 10 aprile 2019.

 

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Cos’è CHIRP? CHIRP è il nome dell’algoritmo che ha reso possibile questo importante traguardo. Katie Bouman, la scienziata che ha guidato la creazione dell’algoritmo, lo ha chiamato “Continuous High-resolution Image Reconstruction using Patch priors”, ovvero “Ricostruzione continua dell’immagine ad alta risoluzione utilizzando i patch priors”; in breve, CHIRP.
Bouman, attualmente professoressa al California Institute of Technology di Pasadena, ha collaborato con i già citati Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e con il MIT Haystack Observatory per finalizzare la formula che avrebbe processato le immagini prodotte dall’Event Horizon Telescope.
Scattare una foto ad un buco nero è paragonabile a fotografare un pompelmo che si trova sulla Luna, ma con un radiotelescopio”, dice Bouman. “Significa che per fotografare qualcosa di così piccolo avremmo bisogno di un telescopio con un diametro di 10.000 chilometri, il che non è pratico, poiché il diametro della Terra è minore di 13.000 chilometri.”


Per aggirare questo problema, Bouman ha basato l’algoritmo non su singolo telescopio, bensì su radiotelescopi piazzati in tutto il mondo, raccogliendo 5 petabyte di informazioni, che equivalgono a mezza tonnellata di hard disk; in sostanza, CHIRP ha ricostruito e perfezionato le immagini originali per generare l’ormai famosa foto, che sta giustamente facendo il giro del mondo.
L’immagine in questione risulta sfocata; questo perché l’algoritmo viene utilizzato per dare un senso ai dati astronomici e, perciò, deve lavorare un minimo con la fantasia. Questo significa semplicemente che CHIRP raccoglie i singoli punti luce e cerca di trovare quelli che combaciano come luminosità e posizione, unendoli come in un puzzle. Dopo aver posizionato i punti luminosi uno accanto all’altro, l’algoritmo li unisce ancora meglio sfocandoli, per dare continuità all’immagine.

Cosa raffigura, quindi, lo storico scatto? In seguito alla diffusione della foto in questione, sul web sono nate molteplici discussioni, com’è giusto che sia. Se la maggior parte delle persone celebra questo traguardo, c’è invece chi è troppo impegnato a fare il puntiglioso per festeggiare.
La foto del buco nero non è una foto, e quello non è neanche un buco nero”, si legge in qualche post sui social network.
Come già spiegato in questo articolo, infatti, l’ormai celebre immagine del buco nero non è realmente una foto, bensì un’elaborazione grafica di dati radio; inoltre, il buco nero non è realmente visibile, poiché è, letteralmente, il buco nero che vediamo al centro dell’anello arancione.
Questa rivelazione, però, non dovrebbe sorprenderci; il buco nero non si vede perché non è possibile vedere un buco nero. Si tratta infatti di una regione dello spazio-tempo nella quale l’attrazione gravitazionale della massa risucchia ogni cosa, compresa la luce. E senza luce, ovviamente, non possiamo vedere nulla.
Il cerchio arancione che possiamo vedere nell’immagine non fa ancora parte del buco nero; si tratta della materia in caduta verso di esso. Principalmente composta da gas e polveri, ha una temperatura di miliardi di gradi e, come vediamo dalla foto, ruota fino a formare un disco detto “di accrescimento”.
Quando la materia supera l’orizzonte degli eventi, ovvero la superficie limite oltre la quale la velocità della luce non è più sufficiente per sfuggire al buco nero, diventa per sempre parte di quest’ultimo.

In conclusione, “la foto che ritrae per la prima volta un buco nero” è molto più comprensibile di “la prima elaborazione grafica di dati radio di gas e polveri in caduta verso un buco nero”.
Questo traguardo è importantissimo per i ricercatori, gli scienziati e gli astronomi, che possono descrivere l’immagine utilizzando termini più scientifici, ma anche per le persone comuni che vogliono giustamente restare informate su ciò che accade nel mondo.
Inoltre, è una vittoria per i più giovani, dal momento che Katie Bouman, la ricercatrice che ha sviluppato CHIRP, ha solamente 29 anni.
Mettiamo perciò da parte la puntigliosità, gli opinionisti improvvisati e le negatività; che la si voglia chiamare fotografia o elaborazione grafica, buco nero o massa di gas e polveri, Bouman, il suo algoritmo e la conseguente immagine rappresentano un punto di svolta nel mondo scientifico, del quale a breve vedremo sicuramente i risvolti.

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